Cosa vuol dire soffrire
Siamo tutti convinti che il comportamento degli altri possa farci soffrire, procurarci delusione, tristezza, dolore, e siamo altrettanto certi che il nostro comportamento può avere lo stesso effetto, facendo soffrire persone che magari amiamo. Ma è vero?
La sofferenza psicologica nasce dalla paura. Soffro per le cose che ho paura di perdere o non riuscire ad ottenere. La paura, a sua volta, deriva dal fatto che io credo di avere bisogno di quelle cose. Se ne ho bisogno, se devo necessariamente averle, avrò paura di perderle.
Soffro se una persona non mi ama perché penso di aver bisogno del suo amore, senza non sarò felice, quindi sto male. Se un amico mi delude soffro perché mi aspettavo qualcosa che ritenevo importante e che ora non avrò più, che l’altro mi ha negato.
Il problema è che la sofferenza non sta nel comportamento delle persone, ma solo nel significato che noi attribuiamo a questo comportamento. Ignorando questo continuiamo a soffrire a causa dei loro comportamenti perché non ci accorgiamo che tutto, invece, dipende da come noi li interpretiamo.
Nessuno soffre per qualcosa che non ritiene importante, ma solo per cose a cui dà un certo valore, per cose che ritiene necessarie. Spesso le relazioni fanno soffrire perché sono relazioni basate sul bisogno reciproco, procurano dipendenza prima, ed assuefazione poi. Credendo che siano necessarie per avere gioia e felicità, perderle ci procura dolore.
Allo stesso modo non possiamo far soffrire qualcuno, poiché non sono le nostre parole o i nostri comportamenti la causa del suo dolore, ma il senso che gli viene attribuito. La sofferenza, così come la felicità, è una nostra responsabilità.
Pensate all’ultima volta che avete sofferto per un comportamento altrui e chiedetevi che valore aveva per voi quella persona. Ne avevate bisogno? Era per voi fondamentale o estremamente importante? Che ruolo aveva nella vostra vita? Nella vostra felicità?
L’amore non procura sofferenza. Questa è la conclusione a cui sono giunto; l’amore non procura dolore, perché non esiste bisogno nell’amore, non c’è attaccamento o dipendenza, non c’è paura. Soffriamo per quello da cui siamo dipendenti, per le cose che sono diventate come “droghe” a cui non pensiamo di poter rinunciare.
Il comportamento degli altri diventa così la “dose” di cui abbiamo bisogno. Possiamo scegliere di liberarci di queste dipendenze e amare gli altri invece che esserne assuefatti. Dobbiamo capire che non dipendiamo da loro e che loro non dipendono da noi. Allora ci accorgeremo che non possono farci soffrire, e noi non possiamo far soffrire loro.
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Rifletto su quanto segue:
“Pensate all’ultima volta che avete sofferto per un comportamento altrui e chiedetevi che valore aveva per voi quella persona”. “Che ruolo aveva nella vostra vita? Nella vostra felicità?” “Era per voi fondamentale o estremamente importante?” Considero questa persona un parente dell’uomo che ho scelto di amare, ma, essenzialmente, lei non contribuisce alla mia felicità. Sarà pure un’affermazione sterile, ma che questa persona sia presente o meno nella mia vita è irrilevante. Diciamo che è una persona che mi è stata “imposta” (non l’ho scelta io, ma me la sono ritrovata sulla mia strada), che in certe occasioni è una presenza un tantino ingrombrante che aleggia intorno a me, nel senso che i miei interlocutori (più o meno consciamente) non sanno gestire al meglio la situazione, creando/alimentando delle rivalità e sentimenti di gelosia nei miei confronti. Credo che questa persona sia fondamentalmente insicura, invidiosa e gelosa, a dispetto delle apparenze, che si senta messa in disparte e che, per reagire, attacchi chi non ha colpe, perchè si sente sminuita agli occhi delle persone cui è affezionata. Io medito su tante cose, rimango zitta in virtù di un profondo senso di rispetto verso il mio compagno, considerato il rapporto esistente tra lui e questa persona. Nonostante ciò, ritengo sia importante (e, di conseguenza, mi sono sempre comportata in modo di) rispettarla, accoglierla, ascoltarla, aiutarla perchè è pur sempre un essere umano, con le sue idee, con i suoi valori, con il suo carattere e con la propria personalità, con i suoi pregi e relativi difetti. Ciò non toglie che ci siano delle cose che mi disturbano molto.
“Ne avevate bisogno?” Dei suoi commenti e del modo in cui sono stati espressi, certamente no!
Buon giorno Silene e benvenuta,
mi piacerebbe farti una domanda: se gli stessi commenti, fatti nel medesimo modo, ti fossero stati rivolti da un perfetto sconosciuto, pensi che avrebbero avuto su di te lo stesso effetto? Avresti provato le stesse sensazioni?
Nel caso sarebbe stato differente, per quale motivo i commenti di questa persona in particolare ti disturbano?
Il tuo comportamento rispettoso è senza dubbio un approccio aperto e comprensivo, e se riesci a capire per quale motivo questa persona esercita comunque una certa influenza su di te (se quel che dice ti disturba vuol dire che per te le sue parole hanno un peso) potrai liberarti di questo fastidio.
A tua disposizione
Giacomo
Buona sera Giacomo,
sono Shiva (SiLeNe è un acronimo), mi complimento per il sito e grazie ancora per il tuo aiuto.
Rispondo brevemente alla tua domanda: sì, mi avrebbero dato ugualmente tantissimo fastidio. Certe frasi andrebbero evitate (a maggior ragione se sai qualche informazione in più su chi hai di fronte) per buon senso, per una questione di tatto, semplicemente perchè si è a conoscenza di precisi fatti che si sono verificati.. Chiamalo come preferisci, ma per me è il semplice rispetto altrui. Che io sia una persona di famiglia oppure una perfetta sconosciuta, conta poco, a mio avviso.
Il problema (forse è questo ciò che mi dà così fastidio) è che questa persona è spalleggiata e dipinta in modo diverso da come mi si è proposta in realtà. O meglio, può avere tutte queste virtù, ma nei miei confronti, per ora, non l’ha dimostrato. So che dovrei andare oltre, ma talvolta è difficile: per vari motivi, non tutti i giorni ci si alza con la stessa predisposizione d’animo! Io sono sempre pronta a cambiare idea, anche se mi costa tanta fatica, ogni tanto è bello scoprire di aver sbagliato.. ma i presupposti del cambiamento non sono a senso unico!! =)
Ciao Shiva,
se è vero che presupposti di cambiamento condivisi, e non a senso unico, sarebbero la migliore soluzione, è anche vero, come ben sai, che il comportamento e le scelte altrui sono fuori della nostra zona di influenza.
Quello che possiamo sempre fare è scegliere il nostro comportamento, agire sempre come riteniamo giusto, indipendentemente dalle scelte altri, usando le nostre “armi” per difenderci e non applicando, anche solo superficialmente, la legge del taglione.
Sono anche convinto che il nostro agire è la migliore spinta al cambiamento altrui che possiamo esercitare, concordando a pieno con Gandhi che diceva di essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Facile? non credo, ma possibile senza dubbio. Come sempre, cara Shiva, è una questione di scelte.
Giacomo