Se c’è qualcosa che siamo abilissimi a confondere con la felicità è il piacere. Qualunque sia il piacere di cui parliamo, siamo propensi a credere che, se proprio non ci renderà felici, sarà comunque una parte importante per esserlo. L’idea stessa che il piacere possa invece essere un ostacolo alla felicità non ci sembra credibile e, soprattutto, non ci piace. Ma noi cosa vogliamo, piacere o felicità?
Il piacere dura poco, spesso pochissimo, dipende quasi sempre da fattori esterni, nel senso che è il risultato di stimoli esteriori che innescano certe reazioni nel nostro corpo. Il piacere procura facilmente assuefazione, il che vuol dire che ne proviamo sempre meno e dobbiamo fare cose sempre differenti e in quantità maggiori, perché ci abituiamo rapidamente a certe sensazioni. Il piacere tende a diventare facilmente una dipendenza, laddove non siamo capaci più di farne a meno, quando cominciamo ad averne bisogno, a stare male se non lo proviamo. Inoltre il piacere ha poco a che fare con la felicità, ma riguarda invece la soddisfazione: quando proviamo il piacere che desideriamo siamo soddisfatti, non felici.
La felicità non finisce mai, è una sensazione, o meglio uno stato interiore, che non termina e che non dipende mai dalle condizioni esterne. Non sono le persone, in nessun modo, a renderci felici (al massimo ci soddisfano!), non sono gli eventi o i trionfi che otteniamo a farlo. La felicità non procura assuefazione, non diventiamo dipendenti da nulla perché nulla ci procura felicità. La felicità non termina se abbiamo un problema o siamo distratti, la felicità non si interrompe a metà, la felicità non ci rende schiavi, non sentiamo bisogno di avere qualcosa, non ne proviamo di meno con il tempo, ma sempre di più.
Piacere o felicità? Il piacere è ciò che molti filosofi chiamavano felicità quando sostenevano che una vita sempre felice fosse impossibile: non saremo sempre soddisfatti, non sempre le cose andranno come vorremmo, non sempre proveremo le sensazioni fisiche che ci piacciono. Esserne schiavi vuol dire condannarci all’infelicità. La felicità è uno stato mentale di libertà assoluta, per cui non abbiamo bisogno di nulla (nessun piacere) per stare bene. Se invece ho bisogno di qualcosa, che sia un bicchiere di vino, un rapporto sessuale, una sigaretta, l’applauso degli altri, non posso essere felice perché pretendo qualcosa.
Paradossalmente il piacere è uno dei principali ostacoli alla felicità, ecco perché facciamo così fatica ad essere felici in una cultura che esalta proprio il piacere. Se questo deriva dall’avere qualcosa dall’esterno, la felicità sta nel non avere nulla. Sono felice quando niente pretendo, quando non sono costretto a fare determinate cose per sentirmi bene. Sono felice quando accetto la vita, quando scelgo di amare.
Spesso confondiamo la felicità con il piacere e ci convinciamo erroneamente che non possiamo sempre essere felici. La felicità, invece, è continua, non termina e non finisce, non perdiamo gusto al suo sapore, non la possiamo perdere e nessuno può togliercela. In una scala da uno a dieci la felicità è il dieci mentre il piace, anche il più intenso, solo uno o due. Fermarsi al secondo gradino può essere anche piacevole, a volte, ma salire fino all’ultimo non ha paragone. Piacere o felicità?
Ciao Miki,
ovviamente non è un problema avere desideri, il problema è non averli!
C’è però differenza tra un desiderio e una pretesa.
La pretesa devo realizzarla, voglio ottenerla e sto male se non ci riesco.
Il desiderio voglio ottenerlo, mi impegno, è un punto di riferimento ma non
diventa un imposizione, non mi immobilizza se non l’ottengo.
La differenza è sempre nella nostra mente, nel modo in cui viviamo ogni situazione.
Paradossalmente realizzi molti più desideri se non pretendi di realizzarli ma lavori ogni giorno, con serenità, per riuscirci.
Inoltre molti desideri non ci appartengono, ma vengono indotti dall’esterno. Se cerchi la felicità, invece del piacere, saprai anche distinguere tra i tuoi desideri e quelli di qualcun altro
Si…vero, ma come si fa a non avere desideri?